Classici dell'Avanguardia
Letteratura, poesia, filosofia
Che cosa rende classico un Classico? E come può l’Avanguardia – nel suo rifiuto costitutivo, endemico, della classicità, nel suo costituirsi proprio per negazione o per forsennamento del classico – conoscere dei Classici? Al fondo, come può un ossimoro ergersi – in testa, in coda, o in mezzo, che lo spazio (del testo) qui si fa precisamente campo di battaglia – come titolo di una collana? Questa la sfida, qui assunta, rivendicata, tanto quanto il senso di una posizione. Da dizionario, militare, l’Avanguardia si dice “reparto in posizione avanzata”, che precede le truppe regolari – ma si potrebbe dire, forse più felicemente, la regola – per aprire un varco, una breccia; nella politica della cultura, che qui è in gioco, tuttavia la breccia, il varco si apre non solo nel campo ostile, nemico, solo finzionalmente posto di fronte, ma più spesso nella regola stessa, trasformatasi, essa, in ostile, totalizzante, nemica. E allora di tale breccia mostrare il lavorìo, l’ispirazione, la carne, le ferite. E l’impegno: di ogni creazione, del commento che ne illumina un’ermeneutica; e quello richiesto al lettore, a ogni lettore. Giacché la posizione, che qui si è scelta come obiettivo e filtro, non può che essere estrema e, come pungolo, spronare alla radicale messa in questione di tutti i protagonisti di quell’avventura che si chiama “lettura”. Segno, del resto, di una modernità radicale, l’Avanguardia, suona del suono non dimesso, lento, di una marcia, ma di quello fragoroso dell’eccezione che, su grigi destrieri, calando i pennacchi, emerge dalla polvere, come una nuvola di sangue. E, seppur nel nostro sguardo ancora non appare classica, tuttavia è pietra miliare del nostro vedere, del rischio di un nostro più profondo comprendere. Di nuovo, dunque, ecco la sfida. Sempre di nuovo al galoppo, dunque: all’avanguardia!
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